Giacobbe Giusti, Chimera of Arezzo
Chimera of Arezzo
Year | c. 400 BC |
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Type | bronze |
The bronze “Chimera of Arezzo” is one of the best known examples of the art of the Etruscans. It was found in Arezzo, an ancient Etruscan and Roman city in Tuscany, in 1553 and was quickly claimed for the collection of the Medici Grand Duke of Tuscany Cosimo I, who placed it publicly in the Palazzo Vecchio, and placed the smaller bronzes from the trove in his own studiolo at Palazzo Pitti, where “the Duke took great pleasure in cleaning them by himself, with some goldsmith’s tools,” Benvenuto Cellini reported in his autobiography. The Chimera is still conserved in Florence, now in the Archaeological Museum. It is approximately 80 cm in height.[1]
In Greek mythology the monstrous Chimera ravaged its homeland, Lycia, until it was slain by Bellerophon. The goat head of the Chimera has a wound inflicted by this Greek hero. Based on the cowering, representation of fear, and the wound inflicted, this sculpture may have been part of a set that would have included a bronze sculpture of Bellerophon. This bronze was at first identified as a lion by its discoverers in Arezzo, for its tail, which would have taken the form of a serpent, is missing. It was soon recognized as representing the chimera of myth and in fact, among smaller bronze pieces and fragments brought to Florence, a section of the tail was soon recovered, according to Giorgio Vasari. The present bronze tail is an 18th-century restoration.
The Chimera was one of a hoard of bronzes that had been carefully buried for safety some time in antiquity. They were discovered by accident, when trenches were being dug just outside the Porta San Laurentino in the city walls. A bronze replica now stands near the spot.
Inscribed on its right foreleg is an inscription which has been variously read, but most recently is agreed to be TINSCVIL, showing that the bronze was a votive object dedicated to the supreme Etruscan god of day, Tin or Tinia. The original statue is estimated to have been created around 400 BC.
In 2009 and 2010 the statue traveled to the United States where it was displayed at the Getty Villa in Malibu, California.[1][2][3]
http://en.wikipedia.org/wiki/Chimera_of_Arezzo
Chimera di Arezzo
Chimera di Arezzo | |
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Autore | sconosciuto |
Data | seconda metà o fine V sec. a.C. circa |
Materiale | bronzo |
Altezza | 65 cm |
Ubicazione | Museo archeologico nazionale, Firenze
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La Chimera di Arezzo è un bronzo etrusco, probabilmente opera di un équipe di artigiani attiva nella zona di Arezzo, che combinava modello e forma stilistica di ascendenza greca o italiota all’abilità tecnica fornita da maestranze etrusche[1]. È conservata presso il Museo archeologico nazionale di Firenze ed è alta 65 cm.
Storia
La sua datazione viene fatta risalire ad un periodo compreso tra l’ultimo quarto del V e i primi decenni del IV secolo a.C. Faceva parte di un gruppo di bronzi sepolti nell’antichità per poterli preservare.
Con l’aiuto di Pegaso, Bellerofonte riuscì a sconfiggere Chimera con le sue stesse terribili armi: immerse la punta del suo giavellotto nelle fauci della belva, il fuoco che ne usciva sciolse il piombo che uccise l’animale.
Si tratta di una statua di bronzo rinvenuta il 15 novembre 1553 in Toscana,La chimera è stata representata in modi diversi.è stata creata per incudere peura e terrore. precisamente nella città d’Arezzo durante la costruzione di fortificazioni medicee alla periferia della cittadina, fuori da Porta San Lorentino (dove oggi si trova una replica in bronzo). Venne subito reclamata dal granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici per la sua collezione, il quale la espose pubblicamente presso il Palazzo Vecchio, nella sala di Leone X. Venne poi trasferita presso il suo studiolo di Palazzo Pitti, in cui, come riportato da Benvenuto Cellini nella sua autobiografia, “il duca ricavava grande piacere nel pulirla personalmente con attrezzi da orafo”.
Dalle notizie del ritrovamento, presenti nell’Archivio di Arezzo, risulta che questo bronzo venne identificato inizialmente con un leone poiché la coda, rintracciata in seguito da Giorgio Vasari, non era ancora stata trovata e fu ricomposta solo nel XVIII secolo grazie ad un restauro visibile ancora oggi. Vasari nei suoi Ragionamenti sopra le invenzioni da lui dipinte in Firenze nel palazzo di loro Altezze Serenissime[2] risponde così ad un interlocutore che gli domanda se si tratta proprio della Chimera di Bellerofonte
« Signor sì, perché ce n’è il riscontro delle medaglie che ha il Duca mio signore, che vennono da Roma con la testa di capra appiccicata in sul collo di questo leone, il quale come vede V.E., ha anche il ventre di serpente, e abbiamo ritrovato la coda che era rotta fra que’ fragmenti di bronzo con tante figurine di metallo che V.E. ha veduto tutte, e le ferite che ella ha addosso, lo dimostrano, e ancora il dolore, che si conosce nella prontezza della testa di questo animale… » |
Il restauro alla coda è però un restauro sbagliato: il serpente doveva avventarsi minacciosamente contro Bellerofonte e non mordere un corno della testa della capra.
Nel 1718 venne poi trasportata nella Galleria degli Uffizi e in seguito fu trasferita nuovamente, insieme all’Idolino e ad altri bronzi classici, presso il Palazzo della Crocetta, dove si trova tuttora, nell’odierno Museo archeologico di Firenze.
Descrizione e stile
Nella mitologia greca la chimera (il cui nome in greco significa letteralmente capra) era un mostro che sputava fuoco, talvolta alato, con il corpo e la testa di leone, la coda a forma di serpente e con una testa di capra nel mezzo della schiena, che terrorizzava la terra della Licia. Venne uccisa da Bellerofonte in un epico scontro con l’aiuto del cavallo alato Pegaso.
La Chimera di Arezzo raffigura il mostro uccidente, che si ritrae di lato, e volge la testa in atteggiamento drammatico di notevole sofferenza, con la bocca spalancata e la criniera irta. La testa di capra sul dorso è già reclinata e morente a causa delle ferite ricevute. Il corpo è modellato in maniera da mostrare le costole del torace, mentre le vene solcano il ventre e le gambe. Probabilmente, la Chimera faceva parte di un gruppo con Bellerofonte e Pegaso ma non si può escludere completamente l’ipotesi che si trattasse di un’offerta votiva a sé stante. Quest’ipotesi sembra essere confermata dalla presenza di un’iscrizione sulla branca anteriore destra, in cui vi si legge la scritta TINSCVIL o TINS’VIL (TLE^2 663), che significa “donata al dio Tin“, supremo dio etrusco del giorno.
La Chimera presenta elementi arcaici, come la criniera schematica e il muso leonino simile a modelli greci del V secolo a.C., mentre il corpo è di una secchezza austera. Altri tratti sono invece più spiccatamente naturalistici, come l’accentuazione drammatica della posa e la sofisticata postura del corpo e delle zampe. Questa commistione è tipica del gusto etrusco della prima metà del IV secolo a.C. e attraverso il confronto con leoni funerari coevi si è giunti a una datazione attorno al 380–360 a.C. È da osservare il particolare della criniera, molto lavorata, e che riproduce abbastanza fedelmente (per l’epoca) l’aspetto naturale della fiera.
http://it.wikipedia.org/wiki/Chimera_di_Arezzo
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